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giovedì 22 agosto 2013

FIRMA FALSA SU ASSEGNO? LA BANCA DEVE RISARCIRE IL CORRENTISTA

Nell'ipotesi in cui un correntista di una banca denunci di non aver sottoscritto un assegno pagato dalla banca ad un terzo, spetta alla banca dimostrare di aver agito con diligenza e di aver verificato, con rigore, la corrispondenza tra la firma sull'assegno e lo specimen depositato. In caso contrario, la banca è tenuta al rimborso integrale delle somme addebitate al proprio cliente per il pagamento dei suddetti assegni. Questo è il principio espresso dal Tribunale di Prato con la sentenza del 11 novembre, con la quale si descrive con chiarezza il profilo della responsabilità della banca per il pagamento di assegni presentati all'incasso anche se con firma falsa, nonché la azioni riconosciute alla banca stessa, nei confronti degli altri istituti di credito o di terzi che hanno beneficiato dell'assegno emesso con firma risultata, successivamente, apocrifa.

La questione oggetto di causa: chi è responsabile per il pagamento di un assegno con firma falsa? All'origine della vicenda per cui è causa vi è la richiesta di risarcimento del danno, da parte del cliente nei confronti della banca presso la quale era correntista, a seguito del pagamento di due assegni effettuato, a suo dire, senza il preventivo accertamento della corrispondenza tra le firme di traenza - apposte sugli assegni - e lo specimen depositato presso la banca stessa.

l Tribunale di Prato ha riconosciuto la responsabilità della banca trattaria per non aver verificato la corrispondenza tra la firma sugli assegni pagati e lo specimen depositato, in violazione del principio di diligenza del c.d. buon banchiere al quale la banca dovrebbe attenersi. Contestualmente, è stata riconosciuta la responsabilità dell'altra banca, chiamata in giudizio, presso la quale un assegno era stato portato all'incasso mentre è stata esclusa qualsiasi responsabilità del terzo chiamato in giudizio e che aveva negoziato uno dei due assegni tratto con firma falsa, avendo verificato, in applicazione della disciplina di circolazione dei titoli di credito, la sua buona fede.

La responsabilità nei confronti della banca trattaria: come e perché. Secondo il Tribunale di Prato, la responsabilità fatta valere dal correntista nei confronti della banca è di tipo contrattuale, basandosi - e la ricostruzione appare condivisibile - sulla c.d. convenzione di assegno, ossia sul contratto che consente al cliente, in presenza di fondi, di emettere assegni, al pagamento dei quali la banca si obbliga. Tale ricostruzione ha effetti notevoli in punto di onere della prova; secondo quanto statuito, infatti, dalla Cassazione con la sentenza n. 13533/2001, ripresa anche dalla pronuncia in commento, spetta al debitore, in termini generali, provare l'esatto adempimento della propria obbligazione, che costituirebbe il fatto estintivo dell'altrui pretesa, mentre il creditore può limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento.

Nel caso di specie, il correntista ha allegato le circostanze di fatto alla base della propria domanda e, in particolare, la circostanza relativa agli assegni pagati senza la dovuta verifica; la banca convenuta, oltre a non contestare la apocrifia delle firme sugli assegni, non ha dato prova di adempiere, ai sensi dell'art. 1176 c.c., con la diligenza che dovrebbe caratterizzare il “buon banchiere”. In altri termini, osserva il Tribunale, alla luce del sistema di ripartizione dell'onere della prova in materia contrattuale, non era il correntista a dover provare la falsità della firma della firma di traenza sull'assegno e la mancata corrispondenza con lo specimen, ma semmai la banca trattaria avrebbe dovuto provare di aver erogato il pagamento dell'importo indicato negli assegni dopo opportune verifiche e dopo una rigorosa ed attenta comparazione tra le firme stesse.

La banca trattaria può agire contro il responsabile della falsificazione. Appurato che la banca trattaria, come visto sopra, è responsabile nei confronti del proprio correntista per il pagamento di un assegno con firma falsa, è però possibile che la stessa banca tratta possa agire con l'azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2033 c.c. nei confronti di chi ha posto l'assegno all'incasso o con l'ordinaria azione di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. nei confronti dell'autore della falsificazione che non abbia materialmente presentato l'assegno all'incasso.

E' però necessario individuare quanto meno il soggetto che ha portato all'incasso l'assegno e, sotto tale profilo, il Tribunale di Prato ritiene che la banca negoziatrice sia obbligata a fornire il nominativo di colui che ha incassato l'assegno, non sussistendo ragioni di privacy che giustifichino tale rifiuto. Nel caso di specie, quindi, rilevato che la banca negoziatrice si è rifiutata di fornire - per ragioni di privacy ritenute infondate - il nominativo dell'effettivo soggetto che ha incassato l'assegno falsificato, la stessa si è vista condannare al risarcimento, in favore della banca trattaria, della somma portata dall'assegno recante firma falsa e negoziato.

E se la firma è “perfettamente falsa”? In caso di assegno falso, la banca è responsabile solo se l'alterazione è rilevabile ictu oculi. Secondo la Cassazione, con la pronuncia n. 20292, depositata il 4 ottobre 2011, la banca può essere considerata responsabile del pagamento di un assegno falsificato non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui una tale alterazione sia rilevabile ictu oculi, sulla base di conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo.

Il caso preso in esame dalla Corte riguarda una richiesta di condanna nei confronti di una banca che aveva pagato un assegno bancario di 277 milioni di vecchie lire che però recava una sottoscrizione apocrifa. Il Tribunale aveva respinto la domanda e il rigetto veniva confermato anche dalla Corte d'Appello e successivamente dalla Cassazione perché la difformità della firma rispetto allo specimen depositato dal correntista presso la banca, al momento dell'apertura del conto corrente, non era rilevabile attraverso un semplice esame visivo, in ragione della notevole abilità del falsificatore.