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mercoledì 22 aprile 2020

IL DIRITTO ALLA SALUTE PUBBLICA PREVALE SUL DIRITTO ALLA BIGENITORIALITA'

Il Tribunale di Vasto, con provvedimento inaudita altera parte, ha ritenuto che gli incontri dei minori con genitori dimoranti in un Comune diverso da quello di residenza dei minori stessi, non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9/3/2020 ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11/3/2020, come pure al D.P.C.M. 21/3/2020 e, da ultimo, al D.P.C.M. del 22/3/2020 (ad oggi si è aggiunto il D.P.C.M. 10 aprile 2020). Conseguentemente, nel bilanciamento degli interessi in gioco, ha ritenuto che quello alla salute pubblica prevalga comunque, sia sul diritto del minore alla bigenitorialità, sia sul diritto/dovere di visita dei genitori separati, soprattutto ove non sia verificabile se il minore venga esposto a rischio sanitario.
Il provvedimento che qui si commenta affronta una problematica attuale, legata alla emergenza sanitaria del COVID-19. In particolare, affronta la delicata questione del rapporto tra diritto di visita e diritto alla salute ex art. 32 Cost., sia nell’interesse generale, sia nell’interesse del minore e dei genitori.
Lo stato emergenziale ha innanzitutto indotto il giudicante a ritenere ammissibile un provvedimento inaudita altera parte.
Considerando la fattispecie giuridica assistita dal fumus boni juris e ritenuto sussistere il pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile a danno di un minore, infatti, il Tribunale ha pronunciato un provvedimento senza il preventivo intervento dell’altro genitore, sul presupposto che, evidentemente, il principio del contraddittorio sia cedevole rispetto all’urgenza (esigenza) di un provvedimento finalizzato comunque alla migliore salvaguardia dell’interesse del minore.
Il Tribunale, pertanto, valutata la gravità e l’urgenza della vicenda, ha ritenuto opportuno ricomprendere la fattispecie concreta in quella astratta descritta dall’art. 336 c.c., con ciò legittimando una tale forma di pronuncia anche in tema di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli.
Nel caso di specie, infatti, si discute sostanzialmente su quando e in che modo il diritto/dovere di visita dei genitori possa essere esercitato a fronte della necessità di salvaguardare la salute pubblica e delle limitazioni alla circolazione delle persone, stabilite per le medesime ragioni sanitarie emergenziali.
Fermo restando che da più parti ci si è appellati al buon senso e, quindi, alla necessità che i genitori potessero raggiungere un accordo in merito, onde evitare ulteriori ripercussioni sui propri figli, laddove ciò non sia stato possibile, vari tribunali sono stati chiamati ad esprimersi sulla questione, anche sul presupposto, in parte non condivisibile, che un provvedimento giudiziario di affidamento dei figli non possa essere modificato da un DPCM che imponga un divieto di spostamento. Purtroppo occorre sottolineare che non si registra uniformità di provvedimenti giudiziari su tutto il territorio nazionale, probabilmente anche in conseguenza del susseguirsi di DPCM con limitazioni sempre più stringenti che hanno costretto il giudicante a spostare di volta in volta il baricentro degli interessi in gioco.
I vari DPCM hanno stabilito, infatti, una limitazione dei movimenti sempre più rigorosa su tutto il territorio nazionale, onde contenere il contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini.
Non è questa la sede per affrontare la questione della tecnica di normazione utilizzata dal legislatore in questo periodo emergenziale, dove si sono succediti in rapida sequenza, atti aventi forza di legge e provvedimenti legislativi in senso stretto, tali da creare un elevato stress al sistema delle fonti previsto dalla nostra Costituzione, nonché alle clausole di salvaguardia che ciascun articolo della stessa, relativo ai diritti fondamentali, contiene.
Appare necessario, tuttavia, trarre spunto dal citato provvedimento per poter affrontare il tema della recessività di taluni aspetti della genitorialità, rispetto all’emergenza in corso.
Il DPCM in vigore alla data di adozione del provvedimento in esame, aveva sancito il divieto di trasferirsi da un Comune all’altro (sul tema era intervenuta anche un’Ordinanza del Ministro della Salute in pari data), salvo per ragioni comprovate di lavoro, di salute o per ragioni di urgenza, sollevando così il problema come qualificare il diritto/dovere di visita dei genitori separati verso i propri figli.
A tale normazione, non propriamente chiara sul piano sistematico, erano seguiti alcuni chiarimenti attraverso i siti istituzionali governativi.
In particolare, sono state predisposte le c.d. faq (“gli spostamenti… sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio”) che, tuttavia, non sono state sufficienti a sopire il dubbio sul punto.
Il Tribunale di Vasto ha condivisibilmente optato per un decreto fortemente limitativo, in conformità a Corte d’Appello di Bari, 26 marzo 2020, dallo stesso richiamato.
Nel bilanciamento dei diversi diritti coinvolti, diritto alla salute pubblica, diritto alla bigenitorialità del minore e diritto/dovere di visita del genitore, il decreto in commento ha di fatto sospeso il diritto/dovere di visita, nei limiti dell’incontro c.d. “in presenza”, sostanzialmente per tre ragioni, poiché nel caso di specie: 1. il padre è rientrato nella propria residenza da una città ad alto tasso di contagio virale; 2. non è dimostrato che il padre abbia rispettato le prescrizioni imposte dalla normativa vigente, tra cui l’isolamento domiciliare fiduciario e 3. non sarebbe emerso se nell’abitazione di destinazione fossero presenti altre persone oltre all’istante. Non possono non condividersi tali assunti se solo si pensa che tra i doveri rientranti nella responsabilità genitoriale viene annoverato anche e soprattutto quello di tutelare la salute del minore. Purtuttavia, il Tribunale di Vasto ha salvaguardato comunque il diritto all’incontro, seppure virtuale, stabilendo colloqui telefonici riservati in videochiamata con la figlia minore, secondo un calendario puntualmente indicato, e diffidando la madre dal tenere comportamenti che possano limitare o impedire tale diritto.
Certamente, il diritto di visita “in presenza” e strictu sensu inteso è solo sospeso. Ciò non esclude, infatti, che al termine dell’emergenza sanitaria, venga posta fine alla sospensione e tale diritto tornerà certamente a riespandersi, con la possibilità di una sorta di “recupero” del tempo in cui è stato sacrificato seppur nei limiti delle eventuali nuove disposizioni di contenimento tempo per tempo vigenti.

martedì 21 aprile 2020

CORONAVIRUS E DELITTO DI EPIDEMIA

In relazione al Coronavirus, si è di recente appreso dai media che sono in corso di svolgimento indagini riguardanti persone morte in talune residenze sanitarie assistenziali nelle settimane scorse. Fra i reati ipotizzati anche quello di epidemia colposa (artt. 438 e 452 c.p.), delitto di evento a forma vincolata.

 L’art. 438 c.p. punisce con l’ergastolo chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni; stessa pena se dal fatto deriva la morte di più persone.
L’epidemia è un delitto contro la salute pubblica ed è collocato nel Titolo VI del Libro II del codice penale, relativo ai delitti contro l’incolumità pubblica: si tratta di fatti che provocano un pericolo (o danno) di tale potenza espansiva o diffusività, da minacciare (o ledere) un numero indeterminato di persone non individuabili preventivamente. Ciò che li distingue dai reati contro la vita e l’integrità individuali è la loro attitudine a proiettare gli effetti lesivi al di là dei concreti individui colpiti o insidiati, mettendo così a repentaglio una cerchia indeterminata di persone. Il legislatore anticipa così la tutela delle persone in modo da salvaguardarle ancor prima che divengano concreto bersaglio delle condotte pericolose penalmente sanzionate (Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte speciale, I, Quinta edizione, Zanichelli, 2012, 505).
È la salute pubblica (Trib. Trento, 16/7/2004): il reato è di pericolo comune perché l’epidemia, ancorché danneggi i singoli soggetti colpiti, è fonte di possibili danni ulteriori, sicché minaccia di coinvolgere un numero indeterminato di persone non ancora aggredite (diffusività e incontrollabilità) (Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., 537; Cass. pen. sez. I, n. 48014/2019: “in tema di epidemia, l’evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione”).

In giurisprudenza, circa il delitto di epidemia colposa, si è precisato che non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 c.p., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40 co. 2 c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera (Cass. pen. sez. IV, n. 9133/2018: nella specie, si discuteva di un caso di contaminazione dell’acqua pubblica che aveva determinato un’infezione di gastroenterite nella popolazione; la Corte Suprema ha riqualificato il reato contestato di epidemia colposa in quello di adulterazione colposa di acque destinate all’alimentazione).
Da ultimo, va segnalato che in passato, con motivazione discutibile, si era deciso che “non incorre nel reato di epidemia colposa chiunque, in qualsiasi modo, provochi un’epidemia, come ad esempio chi, sapendosi affetto da male contagioso, si mescoli alla folla pur prevedendo che infetterà altre persone. Infatti, la norma – che per ragioni logiche, anche in vista del criterio storico, dev’essere interpretata restrittivamente – non punisce chiunque cagioni un’epidemia, ma chi la cagioni mediante la diffusione di germi patogeni di cui abbia il possesso, anche in vivo (animali di laboratorio), mentre deve escludersi che una persona, affetta da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che l’affliggono” (Trib. Bolzano, 13/3/1979).

giovedì 16 aprile 2020

Covid-19: gli incontri padre-figli in spazio neutro avvengono via Skype alla presenza di un operatore


Nel bilanciamento degli interessi di pari rango costituzionale, quello alla tutela della bigenitorialità e quello alla tutela della salute, gli incontri in spazio neutro tra il padre ed i figli devono avvenire con modalità che, pur assicurando il costante contatto, non mettano a rischio la salute psico-fisica dei minori, quali, ad esempio, videochiamate (skype ovvero whatsapp), attivate dall’operatore dei Servizi Sociali, il quale assicurerà la propria presenza per l’intera durata della conversazione. Lo stabilisce il Tribunale di Terni, sentenza 30 marzo 2020.
Nel corso di un giudizio di separazione personale era stata disposto, con ordinanza presidenziale, l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre, prevedendo che il padre potesse vederli in spazio neutro, secondo il calendario redatto dai responsabili del Servizio Sociale del Comune.
Tuttavia, i responsabili del Servizio Sociale avevano dato atto dell’impossibilità, a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, di attivare gli incontri in spazio neutro.
Conseguentemente, il Tribunale era stato adito su istanza del padre, che lamentava l’interruzione delle frequentazioni tra il genitore ed i figli.
Con il decreto in rassegna il Tribunale ha preliminarmente dichiarato l’urgenza dell’istanza, ai sensi dell’art. 83, comma 3, lett. a), del D. L. n.18/2020.
Il Tribunale ha, quindi, rilevato che le misure restrittive della circolazione delle persone, con imposizione di misure di distanziamento sociale, adottate con i numerosi provvedimenti governativi emanati per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, impongono di bilanciare l’interesse primario dei figli minori e del genitore a veder garantito il pieno diritto alla bigenitorialità, con l’interesse alla tutela della salute pubblica individuale (dei minori e dei genitori) e collettiva (adottando precauzioni che non aumentino il rischio di contagio). Infatti, gli incontri in spazio neutro, prevedendo la necessaria presenza di operatori e dovendo svolgersi in strutture pubbliche, esposte all’accesso di numerosi utenti, aumentano considerevolmente il rischio di contagio per i minori e per i genitori.
Pertanto, all’esito di un bilanciamento degli interessi di pari rango costituzionale coinvolti nella fattispecie – da un lato, quello alla tutela della bigenitorialità (fondato sull’art. 30 della Cost. e sull’art. 8 Conv. CEDU) e, dall’altro, quello alla tutela della salute (fondato sull’art. 32 della Cost.) - il Tribunale ha disposto, inaudita altera parte, l’attivazione di modalità di frequentazione padre-figli che, pur assicurando il costante contatto, non mettano a rischio la salute psico-fisica dei minori.
In particolare, il Tribunale ritiene necessaria l’individuazione di forme di comunicazione a distanza, che evitino lo spostamento e il contatto diretto delle parti, dei minori e degli stessi operatori (che potranno operare in modalità di lavoro agile o da remoto), quali, ad esempio, videochiamate (skype ovvero con chat whatsapp, ovvero con ogni altra modalità compatibile con le dotazioni nella disponibilità degli operatori e dei genitori), previa idonea preparazione dei figli, attuata con le medesime modalità, assicurando la presenza dell’operatore per l’intera durata della chiamata.
Il provvedimento in rassegna affronta una questione – quella, cioè, delle interferenze tra le misure emergenziali di contrasto al Coronavirus ed il cosiddetto “diritto di visita” del genitore separato o divorziato ai figli minori – sulla quale più volte la giurisprudenza di merito, in queste ultime settimane, è stata chiamata a pronunciarsi, pervenendo a conclusioni non univoche.
Si consideri, al riguardo, che, secondo il Corte d’Appello di Bari, con decreto del 26 marzo 2020, pubblicato su questo Quotidiano , il “diritto - dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, a mente dell’art. 16 della Costituzione, ed al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost.”.
Ad avviso del Giudice barese è, dunque, ben possibile stabilire un rapporto di gerarchia tra i valori in gioco, collocandosi il cosiddetto “diritto di visita” in una posizione subordinata rispetto alla salute pubblica.
Per una diversa ricostruzione sembra, invece, propendere il Tribunale di Busto Arsizio, che, con decreto del 3 aprile 2020, anch’esso pubblicato su questo Quotidiano , avalla la tesi del ricorrente, secondo cui il cosiddetto “diritto di visita” dei figli di genitori separati e divorziati non avrebbe subìto limitazioni a seguito della normativa emergenziale per fronteggiare il Coronavirus, in quanto certamente rientrante nelle “situazioni di necessità” che legittimano lo spostamento sul territorio.
Il Tribunale di Terni, con il provvedimento che si annota, si pone in una posizione, per così dire, “mediana”, argomentando sulla necessità di individuare un “bilanciamento” tra i beni giuridici coinvolti: da un lato, quello della bigenitorialità (e, si potrebbe, aggiungere quello dell’ “interesse del minore”, che è, per così dire, il “rovescio della medaglia”); dall’altro, la salute pubblica.
Non si ritiene, dunque, di attribuire priorità assoluta all’uno dei beni giuridici in gioco, con sacrificio dell’altro; si tratta, piuttosto, di individuare delle modalità operative attraverso le quali entrambi gli interessi siano efficacemente salvaguardati, pur tenendo conto delle particolarità del caso concreto.
Tali modalità sono individuate nelle video chiamate alla presenza di un operatore del Servizio.
E’ certamente apprezzabile la logica del “bilanciamento” degli interessi che permea la decisione in esame.
La soluzione concretamente adottata, forse, potrebbe non apparire del tutto soddisfacente: l’esercizio del “diritto di visita” attraverso le videochiamate si pone, indubbiamente, come un “minus” rispetto alle modalità ordinarie.
Si sarebbe, ad esempio, potuto pensare a visite “dal vivo”, temporaneamente organizzate, in condizioni di sicurezza, in spazi privati o, comunque, diversi da quelli delle strutture pubbliche messe a disposizione dal Servizio Sociale, alla presenza di familiari o di conoscenti, in luogo degli operatori.
L’urgenza del momento, tuttavia, non ha evidentemente consentito di organizzare le visite secondo forme più prossime a quelle tradizionali.
Non è da escludere, però, che a ciò possa trovarsi rimedio nell’eventualità di un prolungamento delle misure restrittive connesse al protrarsi dell’epidemia.