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martedì 21 aprile 2020

CORONAVIRUS E DELITTO DI EPIDEMIA

In relazione al Coronavirus, si è di recente appreso dai media che sono in corso di svolgimento indagini riguardanti persone morte in talune residenze sanitarie assistenziali nelle settimane scorse. Fra i reati ipotizzati anche quello di epidemia colposa (artt. 438 e 452 c.p.), delitto di evento a forma vincolata.

 L’art. 438 c.p. punisce con l’ergastolo chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni; stessa pena se dal fatto deriva la morte di più persone.
L’epidemia è un delitto contro la salute pubblica ed è collocato nel Titolo VI del Libro II del codice penale, relativo ai delitti contro l’incolumità pubblica: si tratta di fatti che provocano un pericolo (o danno) di tale potenza espansiva o diffusività, da minacciare (o ledere) un numero indeterminato di persone non individuabili preventivamente. Ciò che li distingue dai reati contro la vita e l’integrità individuali è la loro attitudine a proiettare gli effetti lesivi al di là dei concreti individui colpiti o insidiati, mettendo così a repentaglio una cerchia indeterminata di persone. Il legislatore anticipa così la tutela delle persone in modo da salvaguardarle ancor prima che divengano concreto bersaglio delle condotte pericolose penalmente sanzionate (Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte speciale, I, Quinta edizione, Zanichelli, 2012, 505).
È la salute pubblica (Trib. Trento, 16/7/2004): il reato è di pericolo comune perché l’epidemia, ancorché danneggi i singoli soggetti colpiti, è fonte di possibili danni ulteriori, sicché minaccia di coinvolgere un numero indeterminato di persone non ancora aggredite (diffusività e incontrollabilità) (Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., 537; Cass. pen. sez. I, n. 48014/2019: “in tema di epidemia, l’evento tipico del reato consiste in una malattia contagiosa che, per la sua spiccata diffusività, si presenta in grado di infettare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, una moltitudine di destinatari, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e di agevole propagazione, il pericolo di contaminare una porzione ancor più vasta di popolazione”).

In giurisprudenza, circa il delitto di epidemia colposa, si è precisato che non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 c.p., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40 co. 2 c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera (Cass. pen. sez. IV, n. 9133/2018: nella specie, si discuteva di un caso di contaminazione dell’acqua pubblica che aveva determinato un’infezione di gastroenterite nella popolazione; la Corte Suprema ha riqualificato il reato contestato di epidemia colposa in quello di adulterazione colposa di acque destinate all’alimentazione).
Da ultimo, va segnalato che in passato, con motivazione discutibile, si era deciso che “non incorre nel reato di epidemia colposa chiunque, in qualsiasi modo, provochi un’epidemia, come ad esempio chi, sapendosi affetto da male contagioso, si mescoli alla folla pur prevedendo che infetterà altre persone. Infatti, la norma – che per ragioni logiche, anche in vista del criterio storico, dev’essere interpretata restrittivamente – non punisce chiunque cagioni un’epidemia, ma chi la cagioni mediante la diffusione di germi patogeni di cui abbia il possesso, anche in vivo (animali di laboratorio), mentre deve escludersi che una persona, affetta da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che l’affliggono” (Trib. Bolzano, 13/3/1979).

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